Il vestito della luna

Abiti cerimoniali e quotidiani delle donne piemontesi del III millennio

A cura di Battista Saiu Pinna.
Collana Sinnos, n° 2.
Opera pubblicata nel mese di ottobre 2008.

Copertina


Ho accolto volentieri l’invito rivoltomi dal professor Battista Saiu a scrivere qualche riga in sintonia con la sua singolare ed interessante ricerca. Battista Saiu – natione sardus, come Eusebio di Vercelli apostolo delle terre piemontesi e proto vescovo di Vercelli – ama di pari amori la sua Sardegna ed il Biellese: in modo particolare Oropa; e di queste sue “patrie” egli indaga con accuratezza le “tradizioni”.
Nel presente suo lavoro, una parte notevole è dedicata ad investigare i codici “vestimentari” e la tematica del “colore”; ed un “vecchio” studioso di liturgia come il sottoscritto non poteva non sentirsi “provocato” ad intervenire.
Sì, perché il suono, la luce, l’arredo, il vestiario, il colore definiscono e rendono abitabile ed abitato lo spazio liturgico. Per certo celebrare è “render presente” – qui ed ora – il mistero salvifico onde “averne parte”; per certo celebrare non è osservanza di tempi e di spazi; la celebrazione non è suono, non è colore, non vestiario, non arredo…; eppure l’uomo, anzi l’uomo redento celebrante, comprende che nel cammino della luce – dal suo sorgere, alla sua pienezza, al suo declinare e tramontare – è realmente inscritta la vicenda del suo Signore e la sua vicenda…
E come non cogliere l’esistenza di un rapporto organico tra la luce (il colore) e l’umano abitare? È esattamente da questa reciprocità che si può cogliere la natura ed il valore simbolico del colore e, dunque, la sua attitudine a “dire l’ulteriorità”.
La sua “simbolicità” di fondo pare individuabile nel fatto che il colore è una sorta di principio “rivelativo” della materia: principio catagogico ed anagogico. La luce e le sue colorazioni “creano” e “manifestano” la realtà.
L’iride – nella sua variegatezza e multiformità – è “messaggio” che perviene al soggetto ponendolo in collegamento con il punto donde l’iride irraggia.
Il colore è “qualità” della luce: colorandosi la luce diventa nuova e le materie illuminate dalla luce colorata prendono una capacità di anagogia, di ritorno al Pater luminum.
Come sopra accennavo, la liturgia non è questione di colori: eppure è così peregrina la necessità di riflettere sulla forza della luce e sulla capacità del colore a “dire” l’itinerario fondamentale per ogni celebrazione? E tutto questo vale per le splendide vetrate delle cattedrali gotiche, quanto per la scelta – sviluppatasi nel tempo – di utilizzare una diversificata tavolozza di colori per i paramenti usati nella celebrazione liturgica.

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BIANCO Il bianco è – ad un tempo – un “non colore” e la sintesi di tutti i colori. Richiama la luce, lo splendore, la purezza, l’innocenza: lo si usa, dunque, per alludere alla festosità, alla solennità ed a qualità morali. Ecco perché è il colore liturgico per le grandi solennità (Natale, Pasqua, Ascensione…) e per il ricordo dei santi che non hanno subìto il martirio (la Madonna, le vergini, i “confessori” della fede…)

NERO Questo colore ha sovente assunto il valore simbolico dell’assoluto. In opposizione al bianco significa oscurità, buio, lutto. Il suo uso nella liturgia è antico, veniva adottato nelle celebrazioni di penitenza e di afflizione. In seguito restò assegnato alle celebrazioni funebri, mentre per quelle di carattere penitenziale si introdusse il violetto.

ROSSO Questo colore richiama il fuoco ed il sangue e, dunque, la vita. Il rosso purpureo è il colore delle vesti di chi ha autorità (rosse erano le vesti imperiali). Il rosso esprime anche l’amore che giunge fino al dono della vita, indica l’effusione del sangue, il martirio. Ecco perché nella liturgia è usato a Pentecoste (il dono dello Spirito Santo, spirito di vita e di amore), alla domenica delle Palme, al Venerdì Santo e in tutte le feste dei martiri.

VERDE È il colore del mondo vegetale, che “muore” in autunno e rinasce (“verdeggia”) in primavera. È forse per questo che nella simbologia popolare il verde significa la speranza. Nella liturgia questo colore è presente fin dall’antichità per tutto quel periodo liturgico designato oggi come “tempo ordinario”.

VIOLETTO È un colore misto di azzurro e rosso e richiama la spiritualità connessa all’amore ed al sangue del sacrificio; si direbbe: “saggezza e amore”. Ha sostituito il nero per i tempi di penitenza (soprattutto la Quaresima e l’Avvento); dopo la riforma liturgica può essere usato anche per le celebrazioni funebri.

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Al prof. Saiu auguro che la sua paziente ricerca conosca l’apprezzamento di quanti amano approfondire, capire, raggiungere il senso delle cose e del loro esser parte della quotidianità e della festa; della gioia e del dolore…; insomma dell’umana vicenda!

Alceste Catella
Rettore del Santuario Eusebiano Mariano Alpino di Santa Maria di Oropa


Che nel calendario rituale contadino della tradizione la luna rivesta un’importante funzione cognitiva è cosa risaputa. La natura, l’agricoltura, l’uomo e l’animale sono regolati da un complesso sapere connesso ai ritmi lunari. Ancora nell’appena trascorso Novecento il contadino interrogava la luna per predire il corso dell’annata agraria. La ritualità d’inizio d’anno e il Carnevale in particolare sono definiti dal primo plenilunio di primavera che determina il tempo pasquale. La maschera dell’orso che esce nella data canonica della notte che trascorre tra l’uno e il due di febbraio si comporta in funzione della fase lunare che osserva nel cielo invernale che già tende alla primavera.
Battista Saiu ha lavorato ampiamente in questa direzione alla ricerca di orsi mitici della sua Sardegna e del suo Piemonte, ritrovando nella simbologia carnevalesca di questi due territori avvicinanti tratti culturali, sostrati cerimoniali profondi che dialogano tra di loro utilizzando una stessa grammatica mitica le cui diversità, le varianti, sono la rappresentazione di superficie di forme e di pratiche rituali che accomunano.
Ora l’autore, a partire da queste consolidate ragioni folkloriche, compie un ulteriore, ardito passo verso una più specifica interpretazione dell’influenza lunare nel vivere della tradizione. Nel volume che qui si presenta, Il vestito della luna. Abiti cerimoniali e quotidiani delle donne piemontesi del terzo millennio, Saiu conduce un’ampia e, per molti versi, inedita ricerca in alcune comunità alpine nelle quali l’abbigliamento femminile popolare è ancora presente in momenti canonici del calendario rituale del presente e anche in una borgata, Luzzogno di Valstrona (Verbania), paese dove l’abito popolare è ancora parte attiva dell’orizzonte quotidiano della vita.
L’osservazione sul campo lo porta a ipotizzare e a verificare un interessante percorso di ricerca: i colori che definiscono l’abito tradizionale cerimoniale sono, in qualche modo, il calco dei colori dei paramenti sacri che il mondo contadino osservava nella complessa liturgia religiosa annuale. In questo quadro interpretativo il nero che definisce l’abito matrimoniale della tradizione è, secondo l’autore, il nero dei paramenti che sino alle recenti riforme liturgiche scandisce le Feste mariane, le Tempora, le Rogazioni, un colore che allude ad una delle quattro fasi della luna.
La liturgia della Chiesa e la liturgia della vita popolare, in ambedue i casi la rappresentazione dei momenti importanti e drammatici che definiscono il corso della vita umana e divina, dalla nascita alla morte, alludono al ciclo della luna: nelle varie fasi, nello scuro del novilunio e nel chiaro del plenilunio, nell’eterno ciclo di morte e di rinascita cui la lunazione rinvia, la liturgia sacra e la liturgia profana trovano alcune ragioni dell’essere al mondo. D’altra parte il profondo nesso, i contributi e gli scambi tra la Chiesa e la cultura popolare sono ampiamente attestati, e indicano come la liturgia sacra abbia non solo dispensato ma anche attinto ampiamente ai saperi e ai riti precristiani.
Se le cose stanno così il lavoro di Battista Saiu ci pare importante, una linea di ricerca ancora da sviluppare compiutamente ma che nei vasti dati raccolti sul terreno trova primi, incoraggianti risultati che val la pena di far conoscere e mettere in discussione e da cui partire per sviluppare e ampliare il quadro di riferimento e le rilevanti suggestioni che affiorano dall’analisi delle informazioni.
Un opportuno e prezioso apparato iconografico riguardante l’abbigliamento tradizionale alpino correda il volume e sembra confermarci gli inediti orizzonti folklorici che l’autore opportunamente sottopone alla nostra attenzione.

Piercarlo Grimaldi
Università degli Studi di Scienze Gastronomiche, Pollenzo


Davvero interessante questo contributo alla storia dei simboli e della cultura tradizionale attraverso gli abiti cerimoniali piemontesi e i paramenti clericali delle ritualità religiose. La narrazione intesse un tessuto di trama fine, come i sogni segreti dell’animo femminile. È punteggiato di fili colorati che si chiamano sogni, attese e speranze. Come in una fotografia d’epoca, davanti agli occhi si staglia un’immagine.
Vi è una donna affacciata alla finestra della sua dimora. Scruta un cielo stellato in una notte di novilunio. Sulla sedia accanto al letto vi è posato un abito nero. È quello che indosserà l’indomani per il suo matrimonio, con una semplice festa di fine ‘800, in un contesto rurale che la coronerà regalmente, almeno per una giornata Ella non ha che un desiderio, quello di realizzare la sua famiglia ed accudirla, con dedizione. Ma già sa che la vita, nello snodarsi di un percorso che ancora non si può conoscere, potrà svelarle un destino talvolta non facile. Il marito forse dovrà recarsi lontano, fuori confine, per svolgere il suo lavoro. Toccherà a lei accudire la prole, la piccola casa, la campagna. Ma sarà forte e riuscirà ad affrontare le difficoltà, nonostante le incertezze e i pensieri che si rincorrono nella mente della giovane sposa in quell’ultima sera di nubilato.
C’è poi ancora un’immagine molto particolare che affiora leggendo “Il vestito della luna”. È quella che ritrae una giovane donna dei nostri tempi.
Guarda il suo abito da sposa bianco appeso nella sua cameretta alla vigilia delle nozze.
Ha nel segreto del suo cuore tante aspettative che, nonostante il passare dei secoli, l’accomunano in un certo senso alle donne di ogni tempo. Esse sono legate alla natura stessa della femminilità, alla possibilità di una realizzazione, come quella di poter raggiungere una propria autonomia personale, anche per mezzo di un lavoro dignitoso che le consenta di mettere su casa, coronando il suo sogno di moglie e di madre. Le difficoltà che inevitabilmente accompagnano ogni epoca non scoraggiano la sua determinazione.
Che sia una donna dell’Ottocento o una ragazza d’oggi, che sia piemontese o sarda, italiana o straniera, che abbia la pelle bianca o nera, che indossi l’abito tradizionale nero, il più attuale abito bianco o uno sgargiante e multicolore, quella donna guardando la luna si augura che il Cielo l’aiuti, dandole la possibilità di trovare la forza per vivere gioiosamente e con dignitosa fermezza ogni istante del suo essere donna.
L’accurata ricerca storica di Battista Saiu, Presidente del Circolo Su Nuraghe, cui sono grata non solo come Assessore alle Pari Opportunità, ma come donna per la sensibilità, testimonia la determinazione e la passione che ancora una volta ha dimostrato valorizzando la donna.

Nicoletta Favero
Assessore alle Politiche Sociali, Politiche Abitative e Pari Opportunità della Città di Biella


Apparire ed essere

Fino a pochi anni addietro venivano portati nei giorni della festa, e in particolari occasioni dell’anno, abiti tradizionali policromi, tagliati e cuciti con una tale varietà di fogge da richiamare ancor oggi la nostra attenzione sul valore storico e artistico dell’apparire ancor prima che dell’essere. Nel mondo disincantato della postmodernità, nonostante il continuo variare delle mode, i vestiti indossati nei momenti più significativi della vita sono segnati dal cromatismo bianco/nero, colori propri del rito di passaggio, simbolo della nascita e della morte. Ci sembrerà piuttosto curioso, ma fino ad un recente passato, l’abito del matrimonio tradizionale era di colore nero, bianche le camicie di entrambi gli sposi, candido il velo della sposa.
Il bianco è stato da sempre associato al Sole, alla nascita, al candore verginale; il nero alla Luna nuova fertile e al lutto, al mondo sotterraneo e alla terra in cui il seme viene deposto per morire e rinascere grazie ai raggi del Sole. Qui andremo ad analizzare le analogie di questi simbolismi cromatici.
Interessante è la presenza del nero nei paramenti liturgici penitenziali impiegati per le Rogazioni, nelle Quattro Tempora, i riti religiosi celebrati con particolari testi e canti per impetrare la fertilità della terra, in connessione con la scansione dei lavori agricoli definiti dalla Luna. Al diverso formarsi della Luna nera di febbraio è infatti affidata la determinazione della Pasqua e delle altre feste mobili del nuovo anno lunare, da cui dipendono le celebrazioni penitenziali.
Paramenti neri e bianchi venivano indossati durante le quattro più importanti feste mariane in cui l’immagine della Madonna, si sovrappone a quella della Luna, ereditandone gli attributi di verginità e maternità, quale identificazione con il candido astro che riflette i raggi del Sole. Nell’iconografia dell’Immacolata, la verginità di Maria è associata alla bianca falce di Luna, mentre quando è ritratta con il bimbo in braccio, rappresenta la madre e la sposa, investita della luce di Dio, come la Luna piena da quella del Sole, o fertile come la Luna nera priva di riverberi di luce.
Secondo i dettami del Concilio di Nicea (325), la Pasqua cristiana, che non deve mai coincidere con quella degli Ebrei, cade la domenica successiva al formarsi della prima Luna piena di primavera. A Pasqua il simulacro nero della Mater dolorosa, nella catarsi del lutto, diventa la Turris eburnea che si illumina di luce con la resurrezione di Gesù.
Nel mondo contadino, la migliore annata agraria si ha quando i calendari lunare e solare coincidono e si sovrappongono all’equinozio. Si ha, allora, il matrimonio del Sole con la Luna, con il primo astro che entra nella costellazione dell’Ariete mentre la Luna piena ne riflette i raggi luminosi.
Pertanto, i colori degli abiti cerimoniali indossati nei momenti importanti della vita sarebbero correlati con quelli propri del paramento portato dal sacerdote. Nel presente lavoro si ricerca la relazione tra il colore degli abiti cerimoniali e la Luna, attraverso i colori dei paramenti sacri nei diversi momenti dell’anno liturgico.

Battista Saiu